L’inno alla Carità dell’insegnante
Se io possedessi la cultura dei migliori insegnanti, ma non avessi l’amore,
non sarei che un oratore intelligente o una persona spiritosa e simpatica.Se conoscessi tutte le tecniche e avessi provato tutti i metodi migliori
o avessi una formazione che mi permettesse di sentirmi competente,
ma non avessi compreso cosa provano i miei allievi e come pensano,
ciò non mi basterebbe per essere un buon insegnante.E se io passassi molte ore a prepararmi per non essere teso né nervoso,
ma non provassi ad amare e a comprendere
i problemi personali dei miei studenti,
ciò non basterebbe ancora per essere un buon insegnante.Un insegnante è pieno di amore, di pazienza, di bontà.
Non fa mistero che altri si confidano a lui.
Non spettegola. Non si lascia facilmente scoraggiare.
Non si comporta in maniera sconveniente.
Per i suoi allievi è un esempio vivente di buona condotta e ne è consapevole.L’amore non avrà mai fine.
I programmi saranno sorpassati. I metodi passeranno di moda.
Le tecniche verranno abbandonate. Il nostro sapere è limitato
e noi ne possiamo trasmettere solo una piccola parte ai nostri allievi.Ma se abbiamo l’amore,
allora i nostri sforzi avranno una forza creatrice
e la nostra influenza resterà radicata per sempre nella vita dei nostri allievi.
Ora, tre cose rimangono: le tecniche, i metodi, l’amore.Ma la più importante delle tre è l’amore.
(Parafrasi della Prima lettera ai Corinti 13,1-13 di S. Paolo Apostolo)
PEI
Lettera di S.E. Mons. Giovanni Paolo Benotto del 05 settembre 2008
È con grande gioia che incontro per la prima volta gli Insegnanti e il Personale del Santa Caterina; gioia ancora più grande perché siamo all’inizio di un nuovo anno scolastico che di fatto coincide con tutta una serie di novità: c’è un nuovo Arcivescovo gestore dell’Istituto e tra poco ci sarà anche un nuovo Dirigente Scolastico nella persona del Prof. Romano Gori che ringrazio per aver accettato questa non facile responsabilità. C’è una struttura che da pochissimo tempo è stata profondamente trasformata con un ingentissimo sforzo finanziario da parte della Diocesi e del Seminario proprietario degli immobili nei quali si svolge l’attività didattica dell’Istituto. C’è un forte impegno da parte del Consiglio di Amministrazione della Cooperativa che gestisce amministrativamente la scuola a far di tutto per rendere autosufficiente la stessa così da non dover gravare ulteriormente sulla Diocesi e sul Seminario.
Sicuramente c’è una grande attesa da parte delle famiglie che inviano i loro figli al Santa Caterina; così come c’è una grande attesa da parte della nostra Chiesa che ha investito energie e soldi in questa scuola perché è una scuola cattolica.
Una scuola che ha avuto nella sua lunga storia alterne vicende e che solo pochi anni or sono sembrava essere destinata a scomparire e a dover chiudere i propri battenti come è avvenuto per tante altre scuole cattoliche anche nella nostra diocesi. Una scuola che, se ancora esiste ed è in forte ripresa, deve questo a tante persone che hanno creduto nel valore della scuola cattolica, primo fra tutte l’Arcivescovo emerito Mons. A.Plotti al quale va il nostro cordiale ringraziamento; i Membri del Consiglio di Amministrazione e i Presidenti che si sono succeduti nel tempo; gli Insegnanti che hanno portato il pondus diei et aestus come direbbe il Vangelo; ma in modo tutto speciale la Preside Prof. Grazia Gianni Orsini, alla quale do la mia convinta e affettuosa testimonianza con la più grande riconoscenza mia e di tutta intera la nostra Chiesa pisana.
Ho desiderato questo incontro, e vi ringrazio per la vostra presenza, per aver modo di riflettere con voi sul senso e il valore di questa nostra scuola, che, lo ripeto, è una scuola cattolica.
Sono secoli che la Chiesa ha una particolare attenzione per la scuola. Come ben sappiamo le più antiche Università sono state fondate dalla Chiesa, compresa l’Università di Pisa che nel suo sigillo porta le prime parole della Bolla pontificia che la istituì In supremae dignitatis e che proprio qui, accanto alla Chiesa di S. Caterina, emise i primi vagiti nello Studio dei Domenicani. Sono stati uomini di chiesa che hanno istituito le prime scuole gratuite per i poveri; basti pensare a S.Ignazio di Loyola, a San Giuseppe Calasanzio, a San Giovanni Bosco, per giungere a tempi più recenti; tanto è vero che è proprio sulle scuole cattoliche e sulla cultura di ispirazione cristiana che si è fermata fin da subito l’ostilità dell’illuminismo e delle varie ideologie antireligiose o anticlericali che hanno ispirato i più diversi regimi o ordinamenti politici che negli ultimi secoli si sono succeduti soprattutto nell’Europa occidentale.
Anche solo guardando alla storia della nostra Chiesa diocesana non possiamo dimenticare quanto fu fatto a favore dell’istruzione cattolica dall’Arcivescovo Maffi con la creazione della grande rete delle scuole materne dell‘Opera Card. Maffi che abbracciava tutta la diocesi con oltre trenta istituti, senza dimenticare quanto aveva fatto per il nostro Santa Caterina e ciò non certo per favorire le classi abbienti, bensì per venire incontro a quello che un tempo si chiamava il proletariato, cioè il popolo fatto di gente umile e povera, ma che costituiva il cuore dello stesso popolo cristiano.
Non fa dunque meraviglia che la Chiesa abbia dedicato una particolare attenzione al tema dell’istruzione e soprattutto della educazione dei giovani tramite le scuole cattoliche.
Ne ha parlato il Concilio Vaticano II nella Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis ; ne parlano numerosi documenti della Santa Sede; ne parla il Codice di Diritto Canonico nel Titolo III del Libro III cann. 793-821.
Credo perciò importante riprendere da questi documenti alcune affermazioni per ricordare quali sono le finalità, gli strumenti e i contenuti di un impegno che rientra a pieno titolo nella responsabilità di insegnamento da parte della Chiesa, proprio perché una scuola cattolica, partecipa al compito affidato da Gesù alla sua Chiesa che è quello di insegnare ad osservare tutto ciò che lui ha comandato(Mt 28,20).
Afferma il Concilio al n°8 della Dichiarazione sopra ricordata: La scuola cattolica al pari delle altre scuole, persegue le finalità culturali e la formazione umana dei giovani. Ma suo elemento caratteristico è di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, di aiutare gli adolescenti perché nello sviluppo della propria personalità crescano insieme secondo quella nuova creatura che in essi ha realizzato il battesimo, e di coordinare infine l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, sicché la conoscenza del mondo, della vita dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede. Solo così la scuola cattolica, mentre come è suo dovere si apre alle esigenze determinate dall’attuale progresso, educa i suoi alunni a promuovere efficacemente il bene della città terrena ed insieme li prepara al servizio per la diffusione del Regno di Dio, sicché attraverso la pratica di una vita esemplare ed apostolica diventino come il fermento di salvezza della comunità umana.
La scuola cattolica non è dunque soltanto come tutte le altre scuole e tanto meno può essere inferiore alle altre scuole sul piano della cultura, della didattica e delle metodologie di insegnamento; non solo deve essere come le altre, ma deve eccellere sopra le altre; così come deve avere particolare cura per la formazione umana integrale dei giovani che le frequentano. Una cura che richiede sempre maggiori competenze e sempre maggiori energie, vista la situazione di emergenza educativa nella quale ci troviamo, come sta ripetendo da tempo il Papa.
Se la vocazione propria di ogni scuola è far sì che i giovani possano ricevere una istruzione che li renda capaci di affrontare e di superare le grandi sfide del nostro tempo; vocazione della scuola cattolica è che tale istruzione sia davvero piena e integrale: non solo umanistica, scientifica o tecnica, ma anche capace di spaziare oltre il visibile e il verificabile scientificamente; cioè in grado di cogliere il senso e il significato del vivere e dell’agire dell’uomo alla luce della rivelazione biblica e della dottrina della Chiesa.
Oggi non manca chi imputa alla Chiesa di voler esercitare un potere nascosto proprio attraverso la cultura che si pensa possa o debba essere asetticamente non schierata in riferimento ai valori sui quali ciascuno costruisce o non costruisce la propria esistenza. Non di rado si accusa la Chiesa di ingerenze indebite e di intromissione non legittima, anche sul piano della cultura oltre che della politica o dell’economia, quando la Chiesa fa riferimento a valori universali che hanno la loro anagrafe nella natura stessa della persona umana creata ad immagine e somiglianza di Dio e che hanno la loro più piena realizzazione nella prospettiva del Vangelo. In realtà, credo sia importante ribadirlo con grande forza, una cultura neutra è una illusione; o meglio, finisce per essere una proposta del tutto relativistica, un appiattimento su ciò che è banale o peggio su quello stile di vita che viene indotto dai mezzi di comunicazione sociale, dalle mode e soprattutto dai potentati economici e politici.
Proprio nei giorni scorsi alcuni personaggi del mondo culturale italiano come Moretti e Scalfari denunciavano una situazione che per molti aspetti non è difficile condividere e cioè che non esista più in Italia una opinione pubblica, ma bensì tante opinioni private senza più una visione del bene comune(La Repubblica del 17 agosto p.33). Commentando queste affermazioni Francesco D’Agostino su Avvenire del 21 agosto scriveva: tenderei senza difficoltà a condividere il grido di dolore di Moretti e le espressioni altrettanto preoccupate di Scalfari, ma ad una condizione: che si radicassero in una prospettiva antropologica non relativistica, ben diversa cioè da quella oggi dominante. Se infatti si ritiene essenziale superare le tante opinioni private e costruire una significativa e condivisa visione del bene comune bisogna smetterla di continuare a fare gli elogi, in modo narcisisticamente miope, di un liberalismo scettico, accreditato come progressista, riformista, laico (sono parole di Scalfari) e ostile all’idea che esistano valori umani universali e oggettivamente condivisibili.
Applicando questo discorso al fare cultura in una scuola cattolica dovremmo allora dire che si tratta di far cultura in maniera schierata? Io non parlerei di cultura schierata, bensì di una cultura radicata e fondata fortemente su una antropologia non relativistica, dove il punto di riferimento che non toglie niente ai valori umani, bensì li sviluppa e li fa giungere alla loro più piena realizzazione, è il messaggio biblico ed evangelico in particolare; dove l’immagine di uomo vero, maturo e completo, vero paradigma e modello per la pienezza di vita di ogni persona, è Cristo Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo. Avere questi riferimenti non vuol dire proporre una cultura schierata, e per ciò stesso viziata nei suoi fondamenti e quindi non accettabile perché priva di libertà e di autentica dignità, ma piuttosto una cultura che, come tutte le cose integralmente umane, ha il senso del proprio limite; sa che non può essere solo autoreferenziale e che riconosce il proprio necessario fondamento in valori che non dipendono dalle mode del momento, ma da ciò che sempre e comunque rimane inalterato e perenne e assicura alla persona umana il raggiungimento pieno della propria dignità.
In questo senso la cultura che noi propugniamo è cultura integrale, perché guarda alla persona umana in tutta la sua pienezza, alle sue capacità cognitive, alla sua sensibilità, ma anche al suo cuore e alla sua spiritualità e di cui ci si pone al servizio perché possa sviluppare la sua volontà e la capacità di fondere in unità tutte le sue facoltà per diventare ed essere pienamente matura, e giungere, come dice San Paolo, alla piena maturità della statura stessa di Cristo.
E tutto questo è necessario perseguirlo non solo puntando, come è ovvio, sulla singola persona, mai staccata dal contesto ed inserita in quella comunità di vita, di cammino e di esperienza che è la comunità scolastica, bensì puntando anche sulla comunità stessa, cioè su quella serie di relazioni per cui la persona raggiunge la propria autentica realizzazione non da sola, individualisticamente, ma insieme a tutti gli altri, comunitariamente. Quindi in una comunità dove c’è interazione tra docenti e alunni, tra alunni e personale, tra alunni e alunni, tra docenti, personale, alunni e famiglie; tra scuola, famiglia, società civile e chiesa, in un intreccio indissolubile dove non c’è soltanto qualcuno che dà e altri che ricevono, ma in cui lo scambio reciproco è così profondo e fecondo che spesso, alla fine, è sempre più quello che si riceve di quello che si riesce a dare.
E l’ambiente comunitario scolastico di cui parlava il Concilio deve essere permeato dello spirito evangelico di libertà e di carità che è uno spirito che va educato e che ha le sue basi nel mistero del nostro radicamento in Cristo attraverso il Battesimo. In fondo ci viene richiesto, come scuola, di adottare una visuale non solo culturale, ma direi di tipo sacramentale, nella quale non ci si ferma agli aspetti immediatamente visibili e percepibili, ma si cerca di guardare con gli occhi stessi di Dio che non si ferma mai a ciò che passa sul volto dell’uomo, bensì raggiunge il cuore stesso della persona, il suo profondo, la sua interiorità, la sua anima. La fede, infatti, cammina sempre a braccetto con la carità ed è sostenuta dalla speranza; e quando è fede autentica è sempre pienamente libera, perché sostanziata della verità di Dio; e, lo sappiamo bene, Dio-Verità è pienezza di libertà.
Non c’è quindi da aver paura o timore nel presentare quella che è l’originalità della scuola cattolica e del suo progetto educativo: la sintesi tra cultura e fede. Infatti il sapere, posto nell’orizzonte della fede, diventa sapienza e visione di vita. La tensione a coniugare ragione e fede, divenuta l’anima delle singole discipline, dà loro unità, articolazione e coordinazione, facendo emergere all’interno stesso del sapere scolastico la visione cristiana sul mondo, sulla vita, sulla cultura e sulla storia.
Ciò significa che nel progetto educativo della scuola cattolica non si dà separazione tra momenti di apprendimento e momenti di educazione, tra momenti della nozione e momenti della sapienza. Le singole discipline non presentano solo conoscenze da acquisire, ma valori da assimilare e verità da scoprire. Tutto ciò esige un ambiente caratterizzato dalla ricerca della verità, nel quale gli educatori, competenti, convinti e coerenti, maestri di sapere e di vita, siano icone, imperfette certo, ma non sbiadite dell’unico Maestro. In questa prospettiva nel progetto educativo cristiano tutte le discipline collaborano, con il loro sapere specifico e proprio, alla costruzione di personalità mature (La Scuola cattolica alle soglie del III millennio Lettera della Congregazione per l’Educazione cattolica. 28.12.1998- n° 14)
Tutto questo sottolinea l’importanza del clima relazionale e dello stile dei rapporti tra tutti coloro che hanno a che fare con la scuola. Come già sopra accennavo le diverse presenze e i ruoli specifici di genitori, insegnanti, personale, gestore, alunni debbono integrarsi reciprocamente e ciò perché i ragazzi possano ricevere il meglio. Nel corso dell’età evolutiva sono necessarie relazioni personali con educatori significativi e le stesse conoscenze hanno maggiore incidenza nella formazione dello studente se poste in un contesto di coinvolgimento personale, di reciprocità autentica, di coerenza di atteggiamenti, di stili e di comportamenti quotidiani. (Lettera citata ,18).
Tutto questo dice la responsabilità grande che vi compete come insegnanti: Nella scuola cattolica la prima responsabilità nel creare l’originale stile cristiano spetta agli educatori, come persone e come comunità. L’insegnamento è attività di straordinario spessore morale, una delle più alte e creative dell’uomo: l’insegnante infatti non scrive su materia inerte, ma nello spirito stesso degli uomini. Assume, perciò, un valore di estrema importanza la relazione personale tra insegnante e alunno, che non si limiti a un semplice dare e avere. Inoltre si deve essere sempre più consapevoli che gli insegnanti ed educatori vivono una specifica vocazione cristiana e un’altrettanto specifica partecipazione alla missione della chiesa e che dipende essenzialmente da essi se la scuola cattolica riesce a realizzare i suoi scopi e le sue iniziative(19).
Il documento che sto citando parla di vocazione e di missione per i docenti della scuola cattolica, usando termini che connotano teologicamente e non solo sociologicamente il loro servizio di insegnamento. Si tratta di vera e propria chiamata da parte del Signore; si tratta di una vera e propria missione ecclesiale, tanto è vero che lo stesso CJC afferma: L’istruzione e l’educazione nella scuola cattolica deve fondarsi sui principi della dottrina cattolica; i maestri si distinguano per retta dottrina e per probità di vita(can. 803 § 2); una missione che il vescovo diocesano deve avere molto a cuore tanto che il canone 806 § 1 afferma: Al vescovo diocesano compete il diritto di vigilare e di visitare le scuole cattoliche situate nel suo territorio ( ) a lui parimenti compete dare disposizioni che concernono l’ordinamento generale delle scuole cattoliche. E tutto questo proprio perché la scuola cattolica è strettamente connessa e partecipa alla missione di insegnamento della Chiesa e del Vescovo in particolare.
Nel passato, più volte ho sentito appellare il Santa Caterina come la scuola dei preti, come fosse una specie di segno negativo; credo che dovremmo più chiaramente ribadire, come titolo di onore, che il Santa Caterina è la Scuola della Chiesa pisana; una scuola che partecipa cioè della vita e della missione che il Signore Gesù ha affidato alla comunità dei suoi discepoli che sono in Pisa. Una coscienza questa, che mi permetto di aggiungere, è ben lontana da essere viva e consapevole all’interno della comunità ecclesiale pisana, ma che forse ha pure bisogno di risvegliarsi e di maturare anche all’interno dello stesso Istituto di Santa Caterina.
Si tratta di una consapevolezza che assolutamente non può mai essere data per scontata. Da qui l’urgenza di tutto un lavoro di sensibilizzazione che la nostra scuola deve portare avanti tra quanti la frequentano, ma anche all’interno della comunità ecclesiale diocesana. Non basta più pensare che la gente sappia che c’è il Santa Caterina, ma bisogna che sappia di che tipo di scuola si tratta; c’è bisogno che la nostra scuola si qualifichi sempre più come scuola cattolica anche per il rilievo che didatticamente viene dato all’insegnamento della religione cattolica che non può assolutamente essere impartito con le medesime modalità con cui si impartisce in tutte le altre scuole. Ci vuole un di più che dobbiamo cercare ed assicurare insieme e in maniera esplicita. Occorre un di più di formazione integrale puntando in maniera ancora più convinta su un progetto formativo che attraverso tutte le discipline di insegnamento aiuti i ragazzi a raggiungere una piena maturità umana e cristiana; occorre un di più di proposta formativa spirituale in cui i valori dello Spirito siano determinanti nel quadro generale di riferimento. Un di più che non deve essere inteso solo in maniera quantitativa o qualitativa, bensì un di più che attinge a quella ricchezza soprannaturale che nell’ottica cristiana è fondamento e riferimento necessario perché si possa lavorare seriamente e sostanzialmente per la edificazione di personalità complete e mature.
E’ ovvio che tutto questo, se è stile inconfondibile della scuola cattolica, non si realizza mai solo all’interno della stessa, quasi fosse un mondo autoreferenziale, bensì deve realizzarsi necessariamente in relazione alle famiglie degli alunni e in particolare ai loro genitori.
Afferma il Documento sopra citato: Nella comunità educativa hanno un ruolo di speciale importanza i genitori, responsabili primi e naturali dell’educazione dei figli. Purtroppo oggi si assiste alla diffusa tendenza a delegare questo compito originario. Diviene così necessario non solo dare impulso alle iniziative che esortino all’impegno, ma che offrano un sostegno concreto e corretto e coinvolgano le famiglie nel progetto educativo della scuola cattolica (20).
Non dovranno perciò mancare momenti specifici offerti alle famiglie, specie sul versante educativo; e non dovremo aver paura se a certe iniziative potrà non esserci una partecipazione plebiscitaria; ciò che è importante sarà offrire occasioni che permettano ai genitori di essere sostenuti nella loro missione formativa verso i figli, trovando nella nostra scuola un ambiente familiare dove, insieme, è più facile affrontare quelle difficoltà che da soli, non solo è difficile risolvere, ma dalle quali si finisce per prendere le distanze, proprio per il peso che esse costituiscono e la paura che generano.
Sono convinto che nessuno di noi si tirerà indietro. La prospettiva è certamente quella di una strada in salita, la stessa via della salvezza che ha avuto il suo culmine sul Calvario. Un monte speciale, che si aggiunge ai tanti monti che sono testimoni privilegiati della storia della salvezza a partire dal Sinai per passare attraverso l’Oreb, fino a giungere al monte delle beatitudini, al monte della trasfigurazione, al Calvario, appunto, fino al monte degli Olivi. Una serie di vette sulle quali Jahwe-Dio si è manifestato nell’antico Testamento e sulle quali il Signore Gesù ci ha offerto il suo insegnamento, la sua gloria, donandoci la sua stessa vita per guadagnarci a Dio e portarci con sé nel suo ritorno glorioso al Padre.
Anche noi, con i nostri ragazzi, siamo chiamati a fare questo percorso in salita; quindi faticoso, difficile, ma esaltante, ricco di sempre nuovi orizzonti e di prospettive inimmaginate. E’ un percorso di vita: e la vita è fatica e sacrificio, ma insieme è esperienza di gioia e di libertà; è un percorso di sapienza; e la sapienza è conoscenza intellettuale, ricerca e gusto della verità; è amore del vero, del bello e del buono. E’ un cammino che quando è percorso con vera dedizione appassiona e affascina. Soprattutto è un cammino sul quale non siamo mai soli, perché con noi è sempre il Signore, l’unico vero Maestro alla scuola del quale, alunni, docenti, personale scolastico, membri del Consiglio di amministrazione e gestore, siamo sempre e soltanto dei discepoli che hanno bisogno di imparare sempre di più e che imparando da Lui, diventiamo a nostra volta sempre più capaci di essere accompagnatori efficaci ed amati dei nostri giovani sul cammino della vita.
A tutti il mio grazie più cordiale e l’augurio sincero di buon lavoro.